lunedì 14 novembre 2011

Elementi di legislazione sanitaria e organizione dei servizi


1. Lo stato e la tutela della salute
Se la salute nella sua più ampia accezione è interesse non solo del singolo ma dell’intera collettività, appare evidente come la sua tutela debba essere accompagnata da concrete misure di politiche sociali che si sostanziano non solo in specifiche strutture per la cura e l’assistenza dell’ammalato, ma anche in appositi provvedimenti legislativi che proteggono la salute stessa da insulti che possono derivare dalle multiformi attività compiute dall’uomo.
Una sintetica panoramica degli interventi che lo Stato viene ad attuare per garantire questo diritto ci porta a focalizzare la nostra attenzione sul Servizio Sanitario Nazionale, SSN.
Il SSN viene istituito con la Legge n.833 del 23 Dicembre 1978 per assicurare nel rispetto della libertà e della dignità della persona, la salute fisica e psichica.
Ispirato al modello inglese, il SSN si prefigge una vasta serie di interventi che vanno dalla prevenzione alla diagnosi, alla cura e riabilitazione dalle malattie.
Lo stato che pone a suo carico il peso economico assicura questi servizi:
  • Attività di prevenzione, individuazione e controllo di fattori nocivi;
  • Assistenza medica generica e pediatrica, visite e controlli ambulatori e a domicilio si pensi alla possibilità di avere un pediatra convenzionato per ogni bambino, senza quindi affrontare spese;
  • Assistenza specialistica, specialisti dipendenti dall’Asl o dalle strutture pubbliche;
  • Assistenza ospedaliera , attuata mediante il ricovero presso le aziende Ospedaliere o in cliniche convenzionate;
  • Prestazione medico-legali, relative non solo all’accertamento sui cadaveri, ma più semplicemente al rilascio di certificazioni e accertamenti di idoneità o di stati di invalidità.
Lo Stato tutela, tramite leggi, la maternità delle lavoratrici, la salute dei lavoratori, la salubrità ambientale, l’igiene degli abitati e degli alimenti.
Quindi l’ intervento dello Stato nella tutela della salute, finisce proprio ad assicurare questo elementare diritto in modo più ampio possibile, arrivando talvolta a far prevalere l’interesse della collettività e a costringere gli individui a sottoporsi a trattamenti non voluti, ma necessari a tutelare la società.
 Il quadro normativo del Servizio sanitario nazionale
La Costituzione attribuisce alla Repubblica il compito di tutelare la salute  "come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività" (art. 32). L´assunzione e la gestione del Servizio pubblico sanitario rappresentano, pertanto, adempimento di un dovere costituzionale cui il legislatore ha provveduto, in modo organico e compiuto, a partire dal 1978. La legge, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, fissa principi cardine come la solidarietà, la copertura assistenziale globale e la natura pubblica del Servizio sanitario: con tale modello universalistico la tutela della salute, nel realizzare il principio costituzionale di cui all´articolo 32 della Costituzione, viene indirizzata a tutti gli appartenenti la comunità, ponendo gli oneri a carico della fiscalità generale.
Il decreto legislativo n. 502/92, così come risulta modificato ed integrato dal d. lgs n. 517/93, nel confermare la tutela del diritto alla salute delineato dalla 833/78, disegna un modello organizzativo di aziende sanitarie "dinamico", in grado cioè, attraverso la flessibilità funzionale e la impostazione per obiettivi, di rispondere pienamente, in termini quantitativi e qualitativi, alla domanda sanitaria.
Successive riforme hanno anche delineato vari presupposti relativi alla collaborazione tra pubblico e privato.
Con il decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001 sono stati definiti i servizi che rientrano tra i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), vale a dire quei servizi che devono essere garantiti a tutti, a carico del Servizio sanitario nazionale.


2. Il diritto alla salute
La salute è uno dei diritti dell’uomo universalmente riconosciuti, ma per spiegarlo è necessario fare un passo indietro e cominciare dalla definizione dello stesso concetto di salute. Infatti quando nella vita di tutti i giorni pensiamo al nostro stato di salute, lo identifichiamo sempre con il fatto che stiamo bene fisicamente. In realtà questa è una definizione vecchia e parziale della salute.
Oggi quando parliamo di salute dobbiamo definirla non solo come assenza di malattia, ma pieno e completo benessere fisico, psichico e sociale.
Questo modo di pensare alla salute ha rivoluzionato anche l’interpretazione dell’art. 32 della nostra Costituzione. Questo articolo sancisce la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Salute come fondamentale diritto dell’individuo
Se la salute è da intendersi come piena efficienza della persona sia sotto l’aspetto fisico che psichico, questa nozione diventerà complessa da attuare.
Per aversi infatti equilibrio psichico e fisico c’è bisogno che un soggetto stia bene in ogni ambito, e stare male significa provare sensazioni alterate in ogni ambiente, dal lavorativo , allo scolastico, al familiare ecc. Entrano quindi in gioco variabili sociali e interpersonali.
La salute come diritto del singolo renderà quindi leciti anche interventi che vadano oltre il quadro della classica cura della malattia, purché tesi al conseguimento del migliore stato di benessere di chi vi si sottopone.
Facciamo qualche esempio:
  • Interventi volti a correggere disestetismi (chirurgia estetica)
  • Trapianto di rene tra viventi
  • Interruzione della gravidanza
  • Mutamento del sesso
  • Fecondazione assistita
Salute come interesse della collettività
In molti casi l’individuo non ha possibilità di scelta, deve curarsi e la sua cura o la prevenzione della salute dell’uomo corrispondono proprio a quanto si dice nella Costituzione: la salute è anche interesse della collettività. Essa quindi opera come limite all’espressione della libertà individuale (doveri di solidarietà sociale).
Per esempio siamo costretti dallo Stato alle vaccinazioni obbligatorie, in questo caso si tutela in primo luogo il diritto del singolo ma dall’altra parte anche quello della collettività che potrebbe essere messa in pericolo, qualora quella persona non vaccinandosi, contraesse la malattia e la mischiasse a tutti gli altri.
Il limite alla libertà della salute deve essere collegato ad un altro principio sempre previsto dall’art. 32 della Costituzione, ovvero il “principio di volontarietà delle cure, secondo cui nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento se non è previsto dalla legge, che comunque deve rispettare la dignità umana”.
L’esempio delle vaccinazioni ci aiuta bene a capire come alcune volte ci viene imposto un trattamento medico, dall’altra parte ricordiamo che in linea generale siamo noi a decidere dando al medico il nostro consenso.
In sintesi, il diritto alla salute del nostro ordinamento non si limita al solo progetto diagnostico-terapeutico, ma la sua tutela finisce per investire la persona nella sua totalità fino a quasi identificarsi con la tutela stessa della persona. Lo Stato quindi garantisce questo elementare diritto alla salute in tutte le sue forme, poiché la tutela della salute viene ad essere espressione di un fondamentale rispetto dell’uomo e non di una semplice erogazione di servizi.
Ad un attento osservatore non sfugge che l’art. 32 della Costituzione così recita: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo………………….”.
Parlare di un individuo non è la stessa cosa che parlare di cittadino. Quindi la salute viene assicurata dal nostro Stato all’uomo in quanto tale a prescindere dal suo essere italiano e in modo particolare sono previste cure gratuite per chi ha bisogno ma non ha soldi.
3. La procreazione medicalmente assistita
La procreazione medicalmente assistita, meglio conosciuta come fecondazione assistita, ha trovato dopo vari anni e vari dibattiti, una propria disciplina anche in Italia.
Questa disciplina nasce pur sempre da un’esigenza sociale che si è registrata.
Tra l’altro il ricorrere alla fecondazione è pur sempre un atto d’amore, l’unica diversità è data dal fatto che il concepimento non si verifica con l’atto fisico.
Nello specifico il fenomeno è stato regolato con la legge 19 Febbraio 2004, n.40 intitolata “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”.
In realtà, il dibattito sulla questione della procreazione medicalmente assistita comincia a partire dalla fine degli anni ’50 e nonostante si sia intervenuti con legge sembra non essere arrivati ancora alla risoluzione di molte questioni. Procediamo però con ordine.
La fecondazione medicalmente assistita pone in primo luogo delle problematiche etico-deontologiche che possiamo così riassumere:
  • LICEITÀ,
  • SCELTA DELLA TECNICA,
  • SELEZIONE ADEGUATA,
  • INFORMAZIONE E CONSENSO,
  • DIRITTO DEL NASCITURO AD UNA ADEGUATA TUTELA,
  • DIRITTO A CONOSCERE IL PROPRIO PADRE GENETICO,
  • DIRITTO AD UNA DOPPIA FIGURA GENITORIALE.
Alla procreazione assistita è possibile giungere solo quando nessuna cura risulta efficace e in particolar modo se c’è l’accertamento da parte del medico.
Le tecniche di procreazione medicalmente assistita sono possibili solo se sono di tipo eterologo, nel caso contrario vengono previste dalla legge stessa gravi sanzioni.
Quindi:
  • Fecondazione omologa, quando quelli che impropriamente chiameremo semi sono presi all’interno della coppia;
  • Fecondazione eterologa, quando invece c’è donazione del seme da parte di un soggetto esterno alla coppia.
In Italia la fecondazione può essere solo di tipo omologo; la ragione risiede nella volontà di assicurare al nascituro una adeguata tutela, dargli la possibilità di conoscere il proprio padre genetico e di avere una doppia figura genitoriale.
Questi principi ampiamente dibattuti dalla legge e da noi stessi analizzati risultano quindi attuati in Italia. Sono in questo modo rese fuori legge le banche del seme.
Relativamente i soggetti che possono ricorrere alla fecondazione, la legge parla di:
  • Coppie maggiorenni;
  • Coppie di sesso diverse, sono quindi escluse le coppie omosessuali;
  • Coppie coniugate o conviventi, in questo caso risulta chiara la possibilità delle coppie di fatto di avere un bambino con questa tecnica, al pari di chi è sposato;
  • Coppie in età potenzialmente fertili, si pone in questo modo un limite di età stabilito dalla potenziale fertilità, evitando per esempio gravidanze di donne che più che mamme avrebbero l’età giusta per essere nonne;
Coppie in cui entrambi i soggetti risultano viventi, non possono quindi verificarsi in Italia ipotesi di bambini nati dopo la morte del padre o della madre, dato che nel nostro paese non è legale.
4. I trapianti
Il trapianto è un’efficace terapia per alcune gravi malattie che colpiscono gli organi del corpo umano e che non sono altrimenti curabili.
In realtà in Italia il problema dei trapianti è molto forte poiché non esiste la cultura della donazione. Le liste d’attesa si fanno sempre più lunghe, le persone sono sempre più reticenti rispetto alla donazione e ogni anno milioni di vite non vengono salvate.
Il legislatore italiano ha cercato di risolvere queste problematiche, ma ad oggi le soluzioni non hanno prodotto grossi risultati.
Si è soliti distinguere tra: prelievi da cadavere e prelievo da vivente.
Prelievi da cadaveri, collegato principalmente alla definizione di morte che è definita come cessazione irreversibile di tutte la funzioni dell’encefalo. Per aversi accertamento della morte deve esserci la coesistenza, per un dato periodo, delle seguenti condizioni:
  • stato di incoscienza
  • assenza di riflessi del tronco
  • assenza di respiro spontaneo
  • silenzio elettrico celebrale
Tornando al problema della donazione in Italia, lo Stato ha cercato nel ’99 di favorire la donazione inviando nelle case degli italiani una tessera blu su cui era possibile registrare la propria volontà, tessera in molti casi non pervenuta.
Comunque la dichiarazione della volontà di donare gli organi è regolamentata dalla Legge n. 91/1999 e dal decreto ministeriale dell’8 Aprile 2000.
Nella legge viene introdotto, per favorire la donazione, il principio del silenzio-assenso, in base al quale ad ogni cittadino maggiorenne viene chiesto di dichiarare la propria volontà in relazione alla donazione dei propri organi e tessuti, dopo essere stato informato che la mancanza di dichiarazione è considerata come consenso alla donazione, se i parenti non si oppongono.
Questo principio non è ancora applicato, la logica è quella di diffondere prima un’adeguata informazione in materia di donazione e trapianti.
Prelievo da persona vivente
In Italia proprio al fine di favorire la salute dei cittadini e contestualmente garantire lo sviluppo della persona, valore fondante e più importante del nostro ordinamento statale, è prevista la possibilità di prelievo e trapianto tra persone viventi.
Ad esempio, prendiamo in considerazione due fratelli: uno di essi si ammala al rene, l’altro è perfettamente in salute. E’ logico che se c’è compatibilità si potrà avere l’espianto del rene da un fratello e il trapianto nell’altro.
Questa operazione infatti realizzerà il diritto alla salute del fratello ammalato e contestualmente la felicità dell’altro fratello, che non sarebbe stato tale se avesse visto morire il suo caro sapendo che, secondo i successi scientifici, egli avrebbe potuto salvargli la vita e vivere comunque bene con un solo rene.
Ritornando alla realtà italiana, ricordiamo che il trapianto tra viventi è possibile soprattutto se si tengono presenti le seguenti discipline:
  • Prelievo del rene, Legge 458/67;
  • Norme per consentire il trapianto di fegato, Legge 482/99…..è ammesso disporre a titolo gratuito di parti di fegato al fine esclusivo del trapianto tra persone viventi.
In generale si dispone anche che i trapianti tra viventi siano fatti gratuitamente. La logica è quella di evitare un mercato di organi. Inoltre il donatore deve avere particolari requisiti, tra cui quello di essere legato da un forte legame di parentela con il soggetto che riceve l’organo. Si segnalano però limitate eccezioni.


5. Il consenso e il rifiuto alle cure
Il consenso nell’attività terapeutica è fondamentale presupposto dell’attività terapeutica stessa e fondamentale condizione che legittima l’intervento medico. Inoltre è espressione della libertà di scelta della persona.
Il consenso valido deve quindi essere:
Esplicito, Libero, Contestuale e attuale, Specifico, Personale, Deve essere dato da persona capace e Informato.
Il tema del rifiuto alle cure è al centro di un dibattito poiché non esiste una legge che dia al medico linee di comportamento sicure. In realtà il problema non è stato affrontato con una legge poiché si andrebbe ad incidere su diritti molto importanti come quello alla libertà di autodeterminazione, cioè di scelta.
Il rifiuto alle cure potrebbe comunque essere reso possibile tenendo conto di alcuni fattori:
  • Libertà, il soggetto è libero di scegliere;
  • Dignità, in alcuni casi la possibilità di rifiutare le cure, si pensi ad un malato terminale, potrebbe rispettare la sua dignità;
  • Credo religioso, potrebbero meglio rispettarsi le idee di ogni persona;
  • Rapporto rischi/benefici, a volte le cure non portano vantaggi ma solo ulteriori disagi al malato.
D’altra parte se si arrivasse ad una legge ci dovrebbe essere comunque il rispetto di alcuni limii, quali il dovere di solidarietà sociale e il pericolo per la collettività.
Quindi, ad oggi non esiste in questa materia una disciplina e non esiste neanche il c.d. diritto a non curarsi e a morire.
6. Interruzione volontaria della gravidanza
Con la Legge n.194 del 22 Maggio 1978, si introducono in Italia le norme sull’interruzione volontaria della gravidanza, cioè le norme per le procedure di quell’intervento che più comunemente è definito aborto.
In realtà questa legge fin dalla sua approvazione è stata male interpretata.
Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana fin dal suo inizio.
Al fine di sostenere la donna a far si che l’aborto sia l’ultima possibilità, si attribuiscono compiti particolari ai consultori familiari istituiti dalla Legge n. 405 del 29 Luglio 1975, che deve assistere la donna in gravidanza:
  • Informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali, concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;
  • Informandola sulle modalità idonee ad ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante;
  • Attuando direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati  i normali interventi;
  • Contribuendo a far superare le cause che possono indurre la donna all’interruzione della gravidanza.
Passando poi ad analizzare l’aspetto pratico, l’aborto può essere praticato o nei primi 90 giorni o nei successivi 90:
  • Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi 90 giorni , la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia.
  • L’interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi 90 giorni può invece essere praticata:
    • quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
    • quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o a malformazioni del nascituro, che determinano un gravo pericolo per la salute fisica o psichica della donna
    • 7. AIDS e i diritti della persona
      La diffusione dell’AIDS è stata ed è una problematica complessa che ha occupato le nostre menti fin dagli anni ’80. E ‘stato proprio in questi anni che si è avuta infatti la comparsa di questa malattia sulla scena mondiale.
      La risposta della comunità scientifica internazionale nei confronti di questa sindrome è stata pronta ed efficace, tanto da giungere in pochi anni all’identificazione del virus e di aspetti molto importanti quali i modi di diffusione della malattia, nonostante ancora oggi non sia possibile definire una cura.
      Assistiamo ad una evoluzione relativamente ai modi di diffusione in determinati “gruppi a rischio”, parliamo cioè delle categorie dei tossicodipendenti, degli omosessuali e degli emigrati, alla problematica della diffusione della causa, questa volta di “comportamenti a rischio” di contagio. Si spiegherebbe in questa ottica la diffusione dell’AIDS tra i soggetti eterosessuali, sempre più colpiti.
      In particolare nel nostro paese, per meglio fronteggiare la lotta contro questa patologia venne emanata il 5 Giugno 1990 una specifica legge, la n. 135 che titola “ Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta all’AIDS.
      Diritto alla riservatezza
      Il diritto dei soggetti affetti da AIDS o da HIV a che le informazioni sul loro stato di salute non siano diffuse, è perfettamente in linea con tutta la normativa della privacy, con la difesa della libertà individuale, della vita intima e familiare di ogni individuo.
      Va sottolineato che la Legge 135/1990 ribadisce questo diritto alla riservatezza obbligando gli operatori sanitari ad adottare tutte le misure necessarie per la tutela della riservatezza delle persone affette da AIDS o da HIV, segnalando la necessità di comunicare i risultati dell’accertamento diagnostico dell’infezione solo al malato.
      La legge in esame non è la sola che prevede il diritto alla riservatezza per questi malati, in generale è meglio ricordare che il riferire sulle condizioni del malato ad altri soggetti potrebbe portare alla commissione di un reato, quello definito dall’art. 622 c.p. che fa riferimento al segreto professionale e alla sua violazione.
      Il problema è però particolarmente sentito in relazione al dibattito che si è animato sulla necessità di informare il partner, moglie, fidanzata o convivente, sulle condizioni di salute dell’ammalato.
      Nei vari paesi dell’Unione Europea, pur venendo alla luce diverse concezioni, si registra la volontà ad andare contro il principio della riservatezza per proteggere la vita e la salute dei familiari del paziente.
      8. L'alcolismo
      L’alcolismo è come definito dall’OMS, un disturbo del comportamento caratterizzato da un eccesso nell’assunzione di bevande alcoliche, che provoca danni per la salute fisica e psichica dell’individuo e spesso anche un’alterazione del suo comportamento sociale.
      Il problema si fa oggi sempre più  sentito e grave. Il dato più preoccupante è quello relativo ai giovani che sempre più spesso cadono nella rete del bere divenendo pericolosi per se stessi e per gli altri.
      L’etanolo infatti è una sostanza che comporta dipendenza fisica e psichica, sindrome da astinenza quando il soggetto smette di bere e ha azione tossica sui vari organi e apparati.
      9. I trattamenti sanitari obbligatori
      I trattamenti sanitari obbligatori, TSO in modo abbreviato, costituiscono un’eccezione al principio di volontarietà delle cure stabilite dell’art. 32 della Costituzione. Secondo questo articolo infatti nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non è previsto da una legge che comunque tenga rispetto dei limiti imposti dal rispetto della persona umana.
      I TSO sono quindi, in applicazione a ciò che viene detto nella Costituzione, previsti dalla legge istitutiva del servizio sanitario nazionale (L. 833/78) e vengono distinti in:
    • TSO per patologie mentali;
    • Altri TSO.
10. Certificati ed altri documenti del medico
Il medico nell’ambito della sua attività oltre a dover osservare il segreto professionale, può trovarsi di fronte alla necessità di dare informazioni obbligatorie mediante vari documenti che redige.
In primo luogo dobbiamo parlare del certificato che è un atto scritto che dichiara, conforme a verità, fatti di natura tecnica di cui è destinato a provare l’esistenza.
Il certificato deve avere alcune caratteristiche:
  • deve esservi l’indicazione della data e dell’autore;
  • il certificato deve essere redatto in modo chiaro, vero e completo.
In secondo luogo dobbiamo porre la nostra attenzione sulla cartella clinica, documentazione clinica che il medico e in parte anche gli infermieri professionali redigono quotidianamente e che ha valore di atto pubblico.
La circolazione delle cartelle è competenza del direttore sanitario che dopo averle dotate di un numero progressivo sarà tenuto anche alla loro conservazione per un periodo illimitato.
Ha invece diritto a leggere la cartella:
  • il soggetto stesso;
  • i suoi legali rappresentanti, per esempio i genitori;
  • gli eredi, in caso di morte del soggetto;
  • i medici, gli infermieri e i praticanti il reparto, per ovvi motivi di coordinamento e di studio;
  • medico curante, perché la cartella costituisce il mezzo di comunicazione con l’ospedale soprattutto nell’ultima parte ovvero nella scheda di dimissione ospedaliera, in cui vengono raccolte le informazioni più importanti relative alla permanenza del malato in ospedale (per esempio diagnosi, terapia, cure da seguire a casa);
  • INPS e INAIL, per i problemi legati alle invalidità pensionabili;
  • AUTORITA’ GIUDIZIARIA, nel caso di reati l’autorità giudiziaria può automaticamente sequestrare la cartella si pensi ad esempio ad un errore medico che ha provocato la morte di una persona.
Passando oltre è bene parlare anche delle denunce, comunicazioni obbligatorie, tecniche e personali che vengono fatte di solito all’autorità sanitaria e sono finalizzate alla tutela dell’igiene e della sanità pubblica, ad esempio la denuncia delle cause di morte o la denuncia delle malattie professionali e infine della ricetta, documento scritto che il medico rilascia al proprio paziente per la spedizione dei farmaci.
11. Il sistema sanitario Nazionale
Il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) è il risultato dei cambiamenti occorsi nella nostra società e nelle altre realtà europee che in molti casi hanno anticipato le nostre soluzioni in materia di sanità pubblica.
Un impegno collettivo a ridurre la frequenza delle malattie e la mortalità si è sviluppato in diverse organizzazioni statali che avevano raggiunto un elevato livello di complessità e di civilizzazione. I responsabili della cosa Pubblica, utilizzando le conoscenze scientifiche del loro tempo, tentarono di creare una rete di strutture amministrative e di servizi al fine di proteggere la salute della comunità.
Le grandi scoperte batteriologiche e la creazione di ospedali nel secolo scorso sono stati due elementi di grande rilievo che diedero una spinta verso il SSN.
Dopo la II guerra mondiale la nuova Costituzione della Repubblica Italiana sancisce esplicitamente "il diritto alla salute" per tutti i cittadini. In applicazione del dettato costituzionale nasce poi il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) nel 1978 con la legge 833. Tale legge sancisce che l'attuazione del SSN compete allo stato, alle regioni e agli enti territoriali locali, garantendo la partecipazione dei cittadini. Vengono indicati tre livelli di competenza: quello nazionale per la pianificazione, quello regionale che, su delega dello stato, esercita funzioni legislative e di amministrazione in materia di assistenza sanitaria e, i comuni che esercitano le loro funzioni attraverso le Unità socio-sanitarire locali (USL) che a sua volta si dividono in distretti, strutture tecnico funzionali per l'erogazione dei servizi.
Attualmente, il SSN è organizzato in aziende sanitarie locali e in aziende ospedaliere che intendono dispensare il diritto alla salute con criteri aziendali.


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