sabato 29 ottobre 2011


: oss Salute
: L'operatore socio-sanitario, sinteticamente OSS, è una figura recente, codificata dall'Accordo Stato-Regioni del 22 febbraio 2001 ("accordo tra il Ministero della Sanità, il Ministero per la solidarietà sociale e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano"). Tale operatore sostituisce progressivamente le precedenti figure professionali che si occupavano di assistenza, sia nell’area sanitaria (OTA), che nell'area sociale (ASA, OSA, ADEST ec  

MODULO DIDATTICO 
Elementi di  legislazione nazionale e regionale 
Elementi di  legislazione nazionale e regionale 
Elementi di  legislazione nazionale e regionale 
Elementi di  legislazione 
Elementi di etica e deontologia
Elementi di diritto del lavoro
Elementi di psicologia
Elementi di sociologia
Elementi di igiene 
Disposizioni generali in materia di sicurezza
Disposizioni generali in materia di sicurezza
Reti informatiche
Igiene dell'ambiente e confort alberghiero
Interventi assistenziali 
Interventi assistenziali- Area medica
Interventi assistenziali- Area chirurgica -Emergenza
Interventi assistenziali-Area Materno Infantile
Interventi Assistenziali - Srea Riabilitativa
Metodologia del lavoro sociale
Metodologia del lavoro sociale
Metodologia del lavoro sanitario
Metodologia del lavoro sanitario
Aspetti psicorelazionali e interventi assistenziali
Aspetti psicorelazionali - Disabili 
Aspetti psicorelazionali - Tossicodipendenza
Aspetti psicorelazionali - Infanzia
Aspetti psicorelazionali - Anziani
Aspetti psicorelazionali - Disagio mentale



















venerdì 28 ottobre 2011

Interventi assistenziali- Area medica

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Interventi assistenziali 


  1. Corso di formazione per Operatore Socio Sanitario Centro di Formazione e di Studi Sanitari «Padre Luigi Monti» Elementi di legislazione nazionale e regionale Dott.ssa Daniela Ramaglioni
  2. L’OPERATORE SOCIO SANITARIO VINCOLO O OPPOTUNITA’
  3. Importante non è ciò che facciamo ma quanto amore mettiamo in ciò che facciamo; bisogna fare piccole cose con grande amore. Madre Teresa di Calcutta
  4. Evoluzione legislativa della figura di supporto Ausiliario (portantino) 1969 Ausiliario socio-sanitario 1979 Ausiliario socio-sanitario specializzato 1984 OTA ( operatore tecnico addetto assistenza) 1990 OSS 2001 OSS con FC 2003 Dott. Corrado Tino
  5. L’AUSILIARIO (PORTANTINO, 1969) Compiti semplici di carattere prettamente esecutivo: Pulizia degli ambienti Trasporto materiali Prestazioni manuali
  6. L’ausiliario, 1979 “ L’addetto esclusivamente alle mansioni di pulizia” con inquadramento primo livello retributivo. ( Successivo contratto di lavoro) Autonomia operativa nei limiti dell’esecuzione del proprio lavoro, soggetto a controllo diretto Responsabilità limitata alla corretta esecuzione delle prestazioni nell’ambito delle istruzioni ricevute
  7. L’ausiliario socio-sanitario, 1979 Ausiliario ss secondo livello retributivo Attività alberghiere Risponde campanelli, porta pappagalli, padelle, rifacimento letti non occupati
  8. Ausiliario socio saniatario specializzato, 1984 Corso addestramento terzo livello contributivo Attività alberghiera Trasporto infermi, accompagnamenti deambulanti difficoltà Collabora infermieri per pulizia ammalato È responsabile della corretta esecuzione dei compiti affidati dall’infermiere Prende parte alla programmazione degli interventi assistenziali
  9. OTA, 1990/91 Nasce la necessità di una maggiore qualificazione Autonomia esclusiva per quanto attiene le mansioni alberghiere ma è assolutamente dipendente dall’infermiere per i compiti di natura assistenziale Rifacimento del letto occupato Igiene personale paziente Mantenimento posizioni terapeutiche
  10. OTA In collaborazione Le attività sanitarie sono svolte da 2 o più persone di cui almeno 1 con qualifica superiore. Su indicazione Specifiche attività delegate dall’infermiere: accompagnare 1 paziente con difficoltà di deambulazione alla toilette per le cure igieniche NB: non si delega la responsabilità ma soltanto l’atto
  11. A distanza di tempo si può affermare che L’OTA rappresentava un’opportunità che non è stata accolta in pieno sia per i limiti derivanti da una competenza solo sanitaria sia per il suo scarso inserimento nelle strutture socio-sanitarie Dopo circa 10 anni nasce così L’OSS anche perchè era cresciuta la domanda sanitaria Aumento popolazione anziani Evoluzione scientifica e tecnologica Domanda di prestazione sempre più qualificate
  12. Attività infermieristiche?   Assistere un paziente è un’attività  esclusivamente infermieristica? Somministrare un farmaco per via intramuscolare è un’attività esclusivamente infermieristica? Le badanti sono figure assistenziali? Luca Benci
  13. Cosa ha contribuito a creare gli OSS Carenza infermieri Sviluppo professione infermieristica grazie alla formazione universitaria
  14. OSS Soddisfa i bisogni primari della persona, nell’ambito delle proprie competenze in 1 contesto sia sociale che sanitario Attività svolta in tutti i settori sociali e sanitari, in strutture residenziali o semiresidenziali, in ospedale o al domicilio del paziente Svolge la sua attività in collaborazione con gli altri operatori sanitari secondo il criterio del lavoro multiprofessionale , centrato sulla relazione d’aiuto.
  15. OSS Il lavoro che l’OSS deve svolgere, è declinato in 2 diverse forme: una autonoma , ed una collaborativa. Queste forme di lavoro possono essere ricondotte a quelle attribuite a quelle di altri professionisti con cui l’OSS interagisce nell’ambito della propria attività
  16. Competenze che l’OSS svolge e che appartengono ad altre figure professionali Infermiere Fisioterapista Educatore prof. Assistente sociale Altri
  17. Funzioni-attività con autonomia operativa Assiste la persona non autosufficiente nelle attività quotidiane di igiene personale Realizza attività semplice di supporto diagnostico e terapeutico Realizza attività di socializzazione di singoli e gruppi Osserva e collabora alla rilevazione dei bisogni e delle condizioni di rischio dell’utente Valuta per quanto di competenza gli interventi più appropriati da proporre
  18. Riconosce e utilizza linguaggi e sistemi di comunicazione appropriate agli utenti Mette in atto relazioni-comunicazioni di aiuto con l’utente e la famiglia Utilizza strumenti informativi di uso comune per la registrazione di quanto rilevato durante il servizio Cura la pulizia e l’igiene ambientale
  19. Funzioni /attività collaborative Collabora ad attività finalizzate al mantenimento capacità psico-fisiche alla rieducazione e al recupero funzionale Coadiuva il personale e sociale nell’assistenza al malato anche terminale e morente Aiuta la gestione dell’utente nel suo ambito di vita Osserva e collabora alla rilevazione dei bisogni e delle condizioni di rischio dell’utente
  20. Collabora alla verifica della qualità del servizio Collabora alla definizione dei propri bisogni di formazione e frequenta corsi di aggiornamento Collabora anche nei servizi assistenziali non di ricovero, alla realizzazione di attività semplice Collabora alla verifica della qualità del servizio
  21. L’OSS NEL PROCESSO ASSISTENZIALE Raccolta dati Identificazione dei bisogni Persona assistita Determinazione degli obiettivi assistenziali
  22. L’OSS nel processo assistenziale Pianificazione interventi assistenziali Applicazione degli Interventiassistenziali Valutazione dell’efficacia degli interventi
  23. l’ OSS : Opera in quanto può agire in autonomia Coopera in quanto svolge solo parte dell’attività alle quali concorre con altri professionisti Collabora in quanto svolge attività su precisa indicazione dei professionisti  
  24. L’OSS è responsabile degli interventi assistenziali compresi e definiti dall’infermiere professionale nel processo assistenziale
  25. RESPONSABILITA’ DELL’INFERMIERE Supervisore e coordinatore, responsabile della organizzazione e pianificazione dell’assistenza generale alla persona Stabilisce di volta in volta, in relazione alla complessità assistenziale, le attività e il livello di autonomia dell’ OSS
  26. L’OSS è UNA RISORSA INFERMIERISTICA CHIARAMENTE VINCOLATA ALL’INFERMIERE
  27. L’integrazione di questo operatore di supporto, sconvolge gli schemi organizzativi dell’attività infermieristica dedita ed allenata ad un’assistenza personalizzata sul paziente /utente e comporta la responsabilità individuale diretta (etica, civile e penale)
  28. INFERMIERE E OSS: UNA COLLABORAZIONE DA COSTRUIRE
  29. L’integrazione dell’OSS rende necessaria una riorganizzazione dell’assistenza al fine di garantire qualità e sicurezza Cambiamenti organizzativi necessari per un ottimale inserimento dell’OSS
  30. A tale scopo si ritengono irrinunciabili e prioritarie le seguenti condizioni organizzative Rivedere il piano di attività Utilizzare strumenti di documentazione del processo assistenziale ( cartella infermieristica, registro consegne/ rapporto) Utilizzare e rivedere alla luce di questa nuova figura , linee guida, procedure e protocolli
  31. Serve, insomma, documentare sia il processo assistenziale, sia il passaggio di informazioni tra l’infermiere e l’OSS
  32. Cambiamento dell’organizzazione Ottimizzare le risorse umane Mantenere alto il livello di assistenza Garantire sicurezza e qualità delle prestazioni Permettere all’infermiere di dedicarsi maggiormente alla pianificazione e valutazione dell’assistenza e delle attività cliniche di maggiore complessità
  33. L’OPERATORE SOCIO SANITARIO CON FORMAZIONE COMPLEMENTARE (OSS con FC)
  34. L’accordo Stato- Regioni del 16 gennaio 2003, disciplina la “Formazione Complementare” in assistenza sanitaria al fine di consentire allo stesso di COLLABORARE con l’infermiere professionale e di svolgere alcune attività assistenziali in base all’organizzazione dell’Unità funzionale di appartenenza e conformemente alle direttive del responsabile dell’assistenza infermieristica sotto la supervisione della stessa.
  35. Alcune regioni avevano apportato alla figura di base alcune modifiche di dubbia legittimità. ( Stato- Regioni) Nel 2003 (dopo modifica costituzionale, sanità materia concorrente), si dà legittimità giuridica a questa figura. La ragione della nascita di questa figura è da ricercarsi nella cronica mancanza di infermieri e dalle crescenti esigenze di ass. sanitaria nelle strutture sanitarie e socio sanitarie pubbliche e private. (motivazioni economiche) I corsi sono istituiti dalle Regioni e devono contenere moduli di formazione non inferiori a 300 ore di cui la metà di tirocinio. ( 400 ore)
  36. L’operatore socio sanitario con formazione complementare (OSS con FC) mantiene tutti i compiti previsti per l’OSS, e alcune attività aggiuntive AMBITO ASSISTENZIALE Mobilizzare i pazienti per la prevenzione delle lesioni da decubito Somministrare i pasti e le diete, eseguire pedicure, eseguire le tricotomie
  37. AMBITO IGIENICO SANITARIO Riordinare, pulire, disinfettare e sterilizzare le apparecchiature, le attrezzature sanitarie e i dispositivi medici AMBITO DIAGNOSTICO Rilevare e annotare la frequenza diagnostica, la frequenza respiratoria e la temperatura, raccogliere escrezioni e secrezioni a scopo diagnostico
  38. AMBITO TERAPEUTICO Somministrare per via naturale, la terapia prescritta, eseguire la terapia intramuscolare e sottocutanea, eseguire i bagni terapeutici, medicati, impacchi, frizioni, bendaggi, praticare i clisteri, sorvegliare le fleboclisi
  39. La somministrazione dei farmaci da parte dell’Oss con f.c.   Prescrizione medica   Somministrazione   Specifica pianifi- cazione infermieristica e/o supervisione Luca Benci
  40. Quindi per garantire l’integrazione appropriata dell’OSS E dell’OSS con FC sarebbe opportuno: Stilare un documento da utilizzare come linea guida per le amministrazioni socio sanitarie pubbliche e private
  41. Un modello organizzativo non deve solo sostenere l’ ASSISTENZA , ma deve anche INTEGRARE E NON DIVIDERE , le diverse competenze presenti nell’equipe assistenziale, deve esprimere un soddisfacente rapporto RISORSE IMPIEGATE/ RISULTATI OTTENUTI
  42. E’ 1 figura di supporto all’assistenza sanitaria sociale. E’ dotato di autonomia complessiva nelle attività di base, pur negli indirizzi e nella pianificazione infermieristica. Non ha delega di funzioni, ma ha compiti originari che gli vengono attribuiti direttamente dal profilo che lo ha istituito. Risponde per la non corretta esecuzione delle prestazioni affidategli. OSS OSS con FC E’ 1 figura di supporto all’assistenza infermieristica e ostetrica ( quanto meno nelle funzioni aggiuntive). Agisce con livelli di autonomia ridotti ed è vincolato all’organizzazione del lavoro, alle direttive ricevute e alla supervisione infermieristica. Non ha delega di funzioni ma ha compiti pianificati infermiere. Risponde per la non corretta esecuzione delle prestazioni affidategli.
Igiene dell'ambiente

L'igiene (dal greco ὑγιεινός sano, salutare, curativo; citato nell'invocazione del giuramento di Ippocrate) è il ramo della medicina che tratta le interazioni tra l'ambiente e la salute umana. Elabora criteri, esigenze e misure riguardanti lo stato ambientale e il comportamento individuale e collettivo.
Scopi: prevenzione primaria onde evitare e combattere malattie e promozione del benessere e dell'efficienza umana.

Negli stati moderni, le misure igieniche che aumentarono notevolmente la durata media della vita umana furono l'organizzazione e la legiferazione su:
  • rifornimento di acqua potabile,
  • canalizzazione,
  • smaltimento dei rifiuti,
  • attività di costruzione di abitati e di strade asfaltate,
  • valori limite per l'inquinamento atmosferico e l'inquinamento acustico,
  • allevamento di bestiame e tenuta di animali domestici (zoonosi),
  • commercio di alimentari,
  • norme di lavoro,
  • polizia mortuaria
  • ecc.
  • Concetti di igiene e salute 

    L'igiene è una scienza che si occupa della salute, essa ha infatti come obiettivo il mantenimento, il potenziamento e la promozione della salute del singolo individuo e della collettività. L'igiene fa parte delle scienze mediche ed è una branca della medicina. La salute è una condizione dinamica, che dipende dalla capacità dell'individuo di trovare un'armonia nel rapporto che egli realizza con l'ambiente, del quale è parte integrante. Per l'essere umano l'ambiente non è solo il luogo fisico in cui vive, non è solo l'ambiente naturale, ma anche il contesto sociale, l'insieme di rapporti che egli realizza con i suoi simili che lo circondano: dunque l'individuo si mantiene in salute se realizza un armonico, equilibrato contesto in cui è inserito; quindi possiamo affermare che: La salute è uno stato di benessere fisico, psichico e sociale conseguente al buon funzionamento dell'organismo e di tutte le sue parti, e dipende da un armonico equilibrato rapporto dell'individuo con il suo ambiente naturale e sociale.
     
  • Igiene in ambito medico 

    Riguardo all'ambito lavorativo medico, dopo i tempi di Semmelweis, l'igiene consiste nella difesa da possibili germi patogeni, attuabile con misure di disinfezione, sterilizzazione e smaltimento di rifiuti speciali per evitare infezioni. L'igiene clinica è prevalentemente orientata verso la difesa dai germi patogeni riscontrabili negli ospedali. I relativi batteri sono spesso stirpi resistenti a quasi tutti gli antibiotici. Questo a causa del loro continuo uso negli ospedali e dell'abuso che ne fa la popolazione.
    Certi autori includono nelle misure igieniche anche le vaccinazioni. L'esempio più noto ed efficace è tuttora costituito dalle vaccinazioni, grazie alle quali si prevengono quotidianamente molte gravi malattie infettive. È grazie alla vaccinazione se nel 1980 il vaiolo è stato eradicato (eliminato da tutti i Paesi del mondo) e siamo ormai prossimi alla eradicazione della poliomielite. Sono due fra i maggiori successi della medicina di tutti i tempi. La vaccinazione più frequente è contro il tetano, come prevenzione e in seguito a ferite accidentali.
    L'epidemiologia studia la distribuzione delle malattie nelle popolazioni, i fattori di rischio e i fattori protettivi per la salute. La prevenzione tipica dell'igiene è soprattutto quella primaria, che agisce evitando o rimuovendo i fattori di rischio delle varie malattie.
    Zoonosi sono infezioni trasmesse direttamente o indirettamente da animale a uomo, infezioni che colpiscono frequentemente quest'ultimo. I veterinari si prodigano per mantenere sani gli animali anche per evitare infezioni alla popolazione.

    Igiene oltre l'ambito medico 

    L'igiene nell'ambito medico (prevalentemente orientata a combattere germi patogeni) determina la coscienza pubblica: l'"igiene" è percepita come "lotta ai microbi", che spesso determina fobie comiche atte solo ad incrementare il commercio di detersivi e "disinfettanti". Questo punto di vista riduttivo devia dai problemi igienici moderni:
  • acqua potabile inquinata da nitrati usati in agricoltura, cosmetici e ormoni da farmaci,
  • aria carica di gas e polveri fini nocivi, provenienti dalla combustione di impianti di riscaldamento e motori,
  • materiali da costruzione con rischi a lunga scadenza ignoti (es. amianto),
  • alimenti prefabbricati industrialmente contenenti sostanze sintetiche dal rischio a lunga scadenza ignoto,
  • carni e formaggi con residui di farmaci somministrati agli animali d'allevamento ecc.
Il tutto microbiologicamente al di fuori di ogni sospetto, ma che rappresenta comunque una minaccia per la salute, il benessere e l'efficienza umana: in altre parole anti-igienico.
Infine l'igiene si occupa della promozione della salute stimolando, tramite l'educazione sanitaria, comportamenti e stili di vita atti a migliorare sia la durata che la qualità della vita umana. Queste iniziative sono spesso a fin di lucro e quasi mai su affidabili (peer reviewed) studi epidemiologici. 

Igiene negli ambienti di lavoro 

Con particolare riferimento ai luoghi di lavoro, l'igiene è costituita dall'insieme di pratiche per garantire sicurezza e salute dei lavoratori in tutti i luoghi di lavoro riducendo possibilità e rischio di malattie professionali e infortuni e può essere intesa come ambito di interesse della medicina del lavoro. Alle misure di igiene è dato grande rilievo nel D.Lgs 81 "Testo Unico sulla Sicurezza nel Luoghi di Lavoro" che introduce, tra le sue misure più importanti, quella della valutazione del rischio, fatta dalle figure che devono garantire l'igiene e la sicurezza negli ambienti lavorativi, ossia il datore di lavoro, il responsabile del servizio prevenzione e protezione, il medico competente e autorizzato, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. La valutazione del rischio è il presupposto per tutte le misure di tutela, la base per la programmazione degli interventi e il fondamento per l'in-formazione dei lavoratori; ogni ambiente comprende rischi specifici diversi: in ospedale è di grande rilievo il rischio biologico, nei cantieri, il rischio infortunistico e le figure che si devono occupare di prevenzione devono tenerne conto nella redazione del Documento di valutazione dei rischi, come previsto dal D.Lgs 81/08.
Grande rilievo nell'igiene nei luoghi di lavoro ha anche il tema della prevenzione, sia essa primaria, cioè per gli interventi atti a eliminare le cause di rischio o almeno, a ridurne la portata, di modo che il potenziale danno non si verifichi, o secondaria, che consiste nell'individuare in fase molto precoce, subclinica o preclinica, eventuali alterazioni dello stato di salute, essa, in ambito lavorativo, è attuata tramite la sorveglianza sanitaria, fatta dal Medico competente per tutti gli esposti a fattori di rischio professionali.
In materia di igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, l'organo di vigilanza preponderante è sicuramente lo SPISAL (Servizio prevenzione, igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, facente parte del Dipartimento di Prevenzione delle Unità Sanitarie Locali), che si occupa di prevenzione delle malattie professionali e degli infortuni causati o correlati al lavoro e del miglioramento del benessere del lavoratore. Esso attua tutto ciò attraverso vigilanza, attività sanitarie (come le certificazioni di idoneità al lavoro), assistenza e informazione (con la partecipazione e realizzazione di corsi di informazione e formazione), attività amministrative-autorizzative (come le valutazioni di requisiti di idoneità e il rilascio di patenti per l'impiego di sostanze), attività di vigilanza direttamente nei luoghi di lavoro e ancora, attività di tipo giudiziario e sanzionatorio.


Igiene nell'ambiente 

L'igiene ambientale riguarda quell'aspetto dell'igiene che mira e si interessa di tutela della salute negli ambienti di vita, ovvero nei diversi contesti in cui le persone trascorrono la loro vita non lavorativa, intesi sia come spazi aperti: l'ambiente outdoor, che confinati: l'ambiente indoor (l'ambiente urbano, quello domestico, i luoghi pubblici e anche i mezzi di trasporto collettivo. Tutti gli ambienti sono soggetti a inquinamento, anche se di diverso tipo (gas di scarico di automobili, emissioni industriali che ricadono su aree abitative ma anche le emissioni date a livello domestico da mobili, arredi e prodotti per la pulizia, tutti fattori che causano un deterioramento della qualità dell'aria nell'ambiente). La buona qualità dell'ambiente è strettamente legata al mantenimento dello stato di salute dell'uomo, ma non solo, anche delle altre specie animali che abitano in quel contesto; in quanto l'esposizione a contaminanti presenti in acqua, aria, cibo, suolo e derivanti dai rifiuti possono avere molti effetti nocivi sul benessere e salute delle specie viventi. Per mantenere una buona qualità ambientale sono quindi necessari provvedimenti di salvaguardia di essa in grado di ridurre fattori di rischio per la salute. L'organismo che, a livello nazionale, si occupa di protezione e igiene ambientale è l'ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, istituito con la Legge 133/2008, con modificazioni, del D.Legge 25 giugno 2008, n.112, che opera sotto la tutela del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. A livello regionale, le competenze in materia di igiene e controllo ambientale ricadano sulle ARPA, agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, istituite nella maggior parte delle regioni italiane a seguito del Referendum popolare della primavera del 1993 che ha tolto la potestà in materia ambientale alle ASL. Esse operano per la prevenzione e la promozione della salute collettiva, indirizzando le loro risorse al conseguimento della massima efficacia nell'individuazione e nella rimozione dei fattori di rischio per l'uomo e l'ambiente; in particolare, si occupano di tutela della collettività dai rischi sanitari connessi all'inquinamentomonitoraggio dell'inquinamento atmosferico ed acustico, da impianti di smaltimento di rifiuti solidi urbani, dalla detenzione e smaltimento dei rifiuti speciali tossici e nocivi, delle qualità delle acque destinate al consumo umano, delle piscine pubbliche o di uso pubblico, della qualità delle acque di balneazione, di scarichi civili, produttivi e sanitari; esse, inoltre, si occupano della produzione di mappe di rischio ambientale e di valutazione dell'impatto ambientale-sanitario, perseguendo gli obiettivi di protezione, attraverso i controlli ambientali che tutelano la salute della popolazione e la sicurezza del territorio e la prevenzione, attraverso la ricerca, la formazione, l'informazione e l'educazione ambientale. ambientale attraverso azioni di

Igiene negli alimenti 

L'igiene degli alimenti e dei prodotti alimentari in genere riguarda quella branca dell'igiene che comprende l'insieme delle norme e delle misure applicative atte a garantire la salubrità e la sicurezza degli alimenti, intesa come consapevolezza della qualità igienico-sanitaria, nutrizionale e organolettica degli alimenti, e della qualitàqualità e la sicurezza degli alimenti dipendono dagli sforzi di tutte le persone coinvolte nella complessa catena della produzione agricola, della lavorazione, del trasporto, della preparazione, della conservazione e del consumo; proprio per questo, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) intende la sicurezza alimentare come una responsabilità condivisa dal campo alla tavola. Per mantenere e preservare la qualità e la sicurezza degli alimenti lungo l'intera filiera sono importanti procedure per garantire la salubrità dei cibi e sistemi di monitoraggio per una garanzia che le operazioni vengano effettuate in maniera corretta; tutto ciò è possibile grazie all'applicazione del quadro giuridico del settore alimentare incentrato sulla politica dai campi alla tavola andando a coprire l'intera filiera alimentare, all'attribuzione al mondo della produzione della responsabilità primaria di una produzione alimentare sicura, all'esecuzione di appropriati controlli ufficiali, alla capacità di attuare efficaci e rapide misure di salvaguardia e correzione di fronte a emergenze sanitarie manifestate in qualsiasi punto della filiera. Per quanto riguarda la normativa sono da citare il Libro Bianco sulla Sicurezza Alimentare (Bruxelles- 12 gennaio 2000) e soprattutto il Regolamento CE n.178/2002,dove si trovano i principi generali sui quali dovrebbe vertere la politica europea in materia di sicurezza alimentare: ambientale dei processi di produzione, trasformazione, preparazione e consumo dei cibi. La
  • una strategia globale, integrata, applicata a tutta la alimentare (dai campi alla tavola),
  • una definizione chiara dei ruoli di tutte le parti coinvolte, per individuare le responsabilità di tutti gli operatori della filiera,
  • la rintracciabilità degli alimenti destinati agli esseri umani e agli animali e dei loro ingredienti, al fine di identificare ogni singolo prodotto finale,
  • la coerenza, l'efficacia e il dinamismo della politica alimentare, che deve confrontarsi con un sistema globale e in continuo cambiamento, caratterizzato da innovazioni nei sistemi di produzione e che deve far fronte spesso a episodi destabilizzanti in grado di arrecarne gravi danni all'immagine,
  • l'analisi dei rischi articolato in valutazione, gestione e comunicazione dei rischi, sia tra produttore, che verso il consumatore,
  • l'indipendenza, l'eccellenza e la trasparenza dei pareri scientifici, in quanto gli esperti devono garantire indipendenza da pressioni esterne, devono essere in grado di risolvere le controversie in materia di scientifica con l'adeguato grado di autorevolezza e devono anche garantire l'accesso dei cittadini a risultati e raccomandazioni scientifiche,
  • l'applicazione del principio di precauzione nella gestione dei rischi, che stebilisce la possibilità di adottare misure di protezione restrittive anche in assenza di dati certi in materia,
  • la necessità di instaurare un dialogo continuo con i consumatori e garantire informazione, educazione e ascolto, seguendo anche criteri legati ad altri fattori pertinenti, come considerazioni ambientali, benessere degli animali, agricoltura sostenibile, aspettative dei consumatori quanto alla qualità dei prodotti, adeguata informazione e definizione delle caratteristiche essenziali dei prodotti, nonché dei loro metodi di lavorazione e produzione.
Il regolamento ha, inoltre, istituito l'AESA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare), che ha compiti fondamentali che vanno dal parere scientifico indipendente su tutti gli aspetti relativi alla sicurezza alimentare, alla gestione di sistemi di allarme rapido, alla comunicazione e al dialogo con i consumatori in materia di sicurezza alimentare e di questioni sanitarie e lla realizzazione di reti con le Agenzie nazionali e gli organismi specifici. Innovazione fondamentale introdotta in Italia con il D.Lgs 155/97, in recepimento delle Direttive 93/43/CEE e 96/3/CE è stato il sistema di autocontrollo dell'igiene degli alimenti, l'HACCP (Hazard Analisis Critical Control Point), secondo cui tutte le aziende sono tenute ad adottare tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza igienica e la salubrità dei prodotti alimentari e quindi l'idoneità degli alimenti al consumo attraverso:
  • analisi del pericolo
  • identificazione dei punti di controllo critici
  • definizione di limiti critici
  • applicazione di procedure di sorveglianza
  • definizione di azioni correttive
  • procedure per la registrazione dei dati
  • procedure atte a verificare il funzionamento
I punti di controllo, definiti Critical Control Point devono essere individuati in azienda e devono rispondere a criteri ben precisi per essere considerati tali: devono essere associati al pericolo individuato, interni al processo, misurabili e standardizzabili e deve essere possibile l'applicazione di misure di contenimento del problema. In Italia, a livello locale, la competenza per quanto riguarda l'igiene degli alimenti è di completenza prevalentemente delle Unità Sanitarie Locali, più precisamente dei Servizi di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione (SIAN), facenti parte dei Dipartimenti di Prevenzione delle Ulss, con compiti di controllo direttamente sugli alimenti, sui requisiti strutturali e funzionali delle imprese alimentari, verifica preliminare alla realizzazione e/o attivazione di imprese alimentari, tutela delle acque destinate al consumo umano e altri compiti inerenti alla sicurezza alimentare.

Rete Informatica 

LAN e WAN

Una rete di computer mette in collegamento, tramite uno o più mezzi di trasmissione, un numero variabile di postazioni distanti l'una dall'altra. In base alla distanza tra i computer possiamo distinguere tipi diversi di reti informatiche.
La rete LAN (Local Area Network) è una rete locale composta da computer che risiedono tutti nello stesso ambiente di lavoro. Sono situati, quindi, in un’area geografica circoscritta (all’interno dello stesso edificio o edifici adiacenti). I computer, collegati fisicamente tra loro, possono condividere file, programmi, periferiche, ecc.
Le reti WAN (Wide Area Network) o reti geografiche, coprono lunghe distanze, arrivando oltre i confini geografici di città e stati. Le connessioni possono avvenire tramite ponti radio, reti pubbliche o addirittura stazioni satellitari per le telecomunicazioni.
Tra le altre tipologie di reti troviamo: MAN (Metropolitan Area Network), per reti geografiche riguardanti una zona metropolitana e Internet, interconnessione di reti locali e geografiche in una rete globale.
Grazie alle reti possiamo condividere le risorse all’interno di un gruppo di lavoro, come ottenere informazioni da archivi in comune, scambiare informazioni per posta elettronica, lavorare insieme su uno stesso documento. Il groupware è il software specializzato per la gestione del lavoro di gruppo.
Il Server è un computer che fornisce informazioni e/o risorse agli utenti di una rete che si collegano tramite il proprio computer (Client).
La trasmissione delle informazioni può avvenire da un solo utente a molti utenti (tipo Multicast o Broadcast) o da un utente a un altro (tipo peer to peer o point to point).

Primo soccorso

Tutti pensiamo e speriamo che non ci capiti mai di dover essere presenti sul luogo di un incidente stradale.
Purtroppo, però, prima o poi tale evenienza potrebbe accadere ed è quindi di fondamentale importanza conoscere poche e semplici regole da seguire per prestare una prima assistenza agli eventuali infortunati.
Con il termine di primo soccorso s'intende il primo aiuto, la prima modalità di assistenza prestata alla/e vittima/e di un malore e/o di un trauma, in attesa dell'intervento di personale qualificato e dotato di mezzi idonei che deve essere chiamato telefonicamente ad accorrere sul posto nel più breve tempo possibile. Vedremo più avanti come effettuare una chiamata di soccorso in caso di necessità.
Oltre alla chiamata i nostri compiti consistono nell'assicurare, per quanto possibile, la sopravvivenza dell'infortunato ed evitare l'insorgenza di ulteriori lesioni conseguenti ad un mancato soccorso o ad un soccorso scorretto in attesa dell'arrivo di soccorritori professionali.
Non è quindi sempre vero che non fare niente significa non sbagliare.
Inoltre è altrettanto vero che non possiamo "defilarci" dall'aiutare un ferito con la scusa che non sappiamo come comportarci.
Vale la pena a tal proposito ricordare che è obbligatorio, per tutti noi, prestare assistenza a chi si trovi in difficoltà. Obbligatorio innanzi tutto per dovere morale ma anche perché i codici penale e stradale puniscono l'eventuale omissione di soccorso: scappare dopo un incidente può addirittura comportare l'arresto.
In tal caso occorre riferirsi all'articolo 593 del codice penale che impone, a chi trovi un corpo che sia o che sembri inanimato o in evidente difficoltà o pericolo di vita, l'immediata assistenza e l'allerta istantanea delle autorità e dei soccorsi, pena la reclusione fino ad un anno o una multa di 2500 euro.
Ciò però non significa assolutamente che dovremo improvvisarci medici, perché così facendo rischieremmo di peggiorare la situazione o di causare ulteriori danni (secondo gli articoli 589-590 del codice penale chi presta soccorso deve farlo in modo corretto: in caso di soccorso che provochi un peggioramento o in casi estremi la morte dell'infortunato, il soccorritore può esser passibile dei reati di lesioni personali o, addirittura, omicidio colposo)
Molti pensano che è meglio non fare nulla per paura di sbagliare. Nostro obbligo è quello di permettere al ferito di essere aiutato: dobbiamo fermarci e chiamare soccorsi. Se non sappiamo cosa fare ci limitiamo a contattare il servizio di emergenza e ad assistere (anche solo con le parole) gli infortunati in attesa dell'arrivo dell'ambulanza.
Scopo di questo manuale è quello di fornire le informazioni necessarie per attuare anche alcune manovre per assicurare la sopravvivenza del o dei feriti. Ricordiamo a tutti che ciò non può prescindere dalla pratica e consigliamo quindi un "non virtuale" corso di primo soccorso che può risultare utile anche in tantissime circostanze.
La chiamata al 118 è una fase cruciale del primo soccorso.
Vi sembrerà banale leggere un breve capitolo sull'argomento ma in realtà le informazioni che noi diamo al servizio di emergenza hanno notevoli conseguenze sulle fasi di soccorso avanzate. Per essere più chiari faremo un esempio che ci aiuterà a capire il perché.
Supponiamo che ci si trovi sul luogo di un incidente tra due autovetture in cui siano coinvolte più persone. Riferire che vi è un solo infortunato o descriverne in modo errato le condizioni può portare sul luogo dell'accaduto una sola ambulanza, magari anche senza medico a bordo. Ovviamente non tutti sono medici, quindi non è necessario fornire una diagnosi ma solo una descrizione precisa di ciò che osserviamo.

Ma come allertare i soccorsi?

Innanzitutto la centrale operativa del 118 può essere contattata da qualsiasi dispositivo di telefonia gratuitamente e 24 ore su 24.
Le informazioni da fornire, una volta che ci si è presentati sono le seguenti:
1) Cosa è successo: la dinamica dell'incidente descritta in maniera sintetica serve ad orientare i successivi soccorsi;
2) Dove è successo: definire in modo preciso il luogo dell'incidente evita ritardi o inutili perdite di tempo. Nel nostro caso riferimenti stradali, locali o negozi nelle vicinanze possono essere di aiuto;
3) Quante sono le persone coinvolte: anche il numero delle persone infortunate è da riferire per permettere ai soccorsi di portare il giusto numero di operatori che devono intervenire sul posto;
4) Quali sono le lesioni presenti: una volta accertato lo stato di coscienza e la respirazione andrebbero riferite eventuali lesioni presenti quali ad esempio sanguinamenti, segni di shock, impossibilità ai movimenti, dolore etc. Ricordiamoci che non è importante fare una diagnosi ma riferire quello che vediamo!!
5) Da quale numero si chiama: la centrale del 118 registra tutte le chiamate e riesce a visualizzare il numero del dispositivo dal quale telefoniamo ma non è errato fornire comunque il nostro numero e il nostro nome nel caso vi fossero dei problemi. E' importante poter essere contattabili nel caso fossero necessari ulteriori chiarimenti!
Ricordiamo che i numeri di emergenza internazionali sono il 112 o il 113, che in Italia risultano collegati rispettivamente ai Carabinieri e alla Centrale di Polizia. Un altro numero di emergenza è rappresentato dal 115 a cui rispondono i Vigili del Fuoco e che può essere contattato nel caso in cui sussistano pericoli che ne rendano necessario l'intervento.
Ovviamente dopo aver chiamato il 118 sarà bene allertare anche il 112 o il 113 per fare in modo che la "scena" possa essere messa in sicurezza anche da personale specializzato.
Quando ci capita di assistere a un incidente stradale o di arrivare subito dopo, la prima cosa che ci viene in mente è quella di scendere dal nostro mezzo per prestare aiuto alle persone coinvolte.
Tuttavia, in qualsiasi situazione di questo genere, la primissima cosa a cui dobbiamo pensare è la nostra incolumità.
La prima regola di un soccorso quindi è: valutare la presenza di eventuali pericoli per noi e per gli infortunati. Nel caso in cui non dovesse essere possibile allontanare gli infortunati dalla zona di pericolo è necessario limitarsi a chiamare i soccorsi ed attenderne l'arrivo.
In poche parole, di fronte a rischi evidenti dobbiamo contattare il 115 ed attendere l'arrivo dei Vigili del Fuoco.
Non tentiamo di fare gli eroi, se mettiamo in pericolo la nostra vita non siamo più utili a nessuno.
Innanzitutto prima di scendere dal nostro mezzo è indispensabile, oltre che obbligatorio perlegge, indossare il giubbotto catarifrangente che dobbiamo sempre conservare all'interno dell'abitacolo.
Poi, se non è già stato fatto da altri, è opportuno prendere il triangolo di pericolo e, tenendolo sollevato, andare nel senso opposto di marcia posizionandolo ad una distanza di almeno 100 metri.
Questa operazione è molto delicata, oltre che pericolosa, e va eseguita solo se vi siano adeguati margini di sicurezza (specie in strade a scorrimento veloce: statali, autostrade, etc.).
Se sono presenti dei feriti al centro della strada e non ci sono le condizioni per spostarli (vedi più avanti, preciso fin d'ora che una persona che vi risponde è cosciente e non va mai mobilizzata a meno che non vi siano dei pericoli imminenti) si può posizionare la nostra vettura a loro protezione (attenzione a non puntare i fari in direzione dei veicoli in arrivo).
Di notte possiamo anche aiutarci con dei mezzi luminosi, pertanto una torcia elettrica (specie quelle a dinamo senza batteria) non dovrebbe mai mancare nella nostra vettura.
Molto importante inoltre è rendersi conto dei possibili problemi supplementari quali: presenza di cavi elettrici, di materiale esplosivo, corrosivo, infiammabile, di gas.
In tutte queste circostanze allertiamo immediatamente i Vigili del Fuoco (115) chiedendo spiegazione su come comportarsi e comunicando eventuali numeri presenti sui cartelli arancioni apposti sui veicoli che trasportano sostanze pericolose. In linea generale le cifre superiori indicano il tipo di pericolo (vedi tabella) mentre quelle inferiori la sostanza trasportata (nel caso in figura 1203 rappresenta la benzina).
La prima cifra indica il tipo di pericolo primario:
2 -> GAS
3 -> Combustibile;
4 -> Comburente;
6 -> Materia tossica;
8 -> Materia corrosiva.
Le altre invece indicano il tipo di pericolo complementare:
0 -> Senza effetti complementari;
1 -> Esplosivo;
2 -> GAS;
3 -> Combustibile;
5 -> Comburente;
6 -> Materia tossica;
7 -> Radioattivo.
La ripetizione delle prime due cifre indica un pericolo primario particolarmente presente: 33 ad esempio significa liquido molto infiammabile; la ripetizione delle cifre successive alla prima indica un pericolo gravissimo: 333 significa liquido che si infiamma spontaneamente.
Una volta messa in sicurezza la scena possiamo procedere alla fase successiva: la valutazione degli infortunati.

Una volta accertato che non ci siano pericoli né per l'infortunato, né per noi e per eventuali persone presenti sul luogo dell'incidente, procediamo alla valutazione dell'infortunato stesso. La prima cosa da fare è quella di controllare lo stato di coscienza.
Lo stato di coscienza è la capacità di una persona di orientarsi nel tempo e nello spazio, di rispondere alle domande e di reagire agli stimoli dolorosi. Tale stato può essere valutato parlando con l'infortunato e toccandolo.
Avviciniamoci quindi alla persona e, chiamandola a gran voce, le scuotiamo delicatamente le spalle. E' fondamentale toccare le spalle senza muoverle. Non dimentichiamo mai che nel momento in cui facciamo queste manovre non sappiamo se ci sono dei traumi. A questo punto si possono verificare due situazioni: la persona ci risponde ed è cosciente oppure non ci risponde e quindi è incosciente.
Se la persona ci risponde, ovviamente, avrà un battito cardiaco ed un respiro. In qualsiasi posizione si trovi dovremo quindi evitare di spostarla, a meno che non ci siano dei pericoli immediati che ne mettano a rischio la vita. Parleremo e cercheremo quindi di tranquillizzare la persona, le faremo delle domande molto semplici per vedere se ci risponde e valuteremo la presenza di eventuali altre lesioni su cui poter intervenire (vedi i relativi capitoli).
Dovremo prestare molta attenzione non solo a non muoverla ma anche a fare in modo che non faccia lei stessa dei movimenti.
In caso di incidente, le persone coinvolte possono trovarsi in uno stato di profonda agitazione e spesso tentano di alzarsi anche se in gravi condizioni.
Nel caso di persona gravemente ferita dovremo posizionarci vicino alla testa e, afferrandola saldamente, cercheremo di evitare che possa muovere il collo. Nel frattempo se c'è qualcun altro lo mandiamo a chiamare il 118 e cerchiamo di capire quali problemi siano presenti. Rivalutiamo la situazione di continuo, lo stato dell'infortunato può cambiare improvvisamente.
Questa è la prima condizione, la migliore. Perché si può verificare invece che la persona non risponda e questo può significare che è solamente incosciente ma con un battito ed un respiro presenti ma potrebbe anche essere in arresto cardiaco.

La valutazione del respiro

La persona non risponde. E' incosciente. A questo punto devo procedere quindi alla valutazione del respiro. Purtroppo ciò talvolta può risultare difficile soprattutto se l'infortunato è seduto all'interno del veicolo o per terra in posizione prona. In questi casi può essere necessario stendere la vittima sul dorso. Il torace va preferibilmente scoperto, soprattutto se sono presenti indumenti ingombranti.

Per valutare la respirazione devo iperestendere la testa. Con una mano sulla fronte e una sotto il mento, tiro indietro il capo e mi posiziono con la guancia sopra al volto dell'infortunato, praticando la manovra conosciuta con la sigla GAS: guardo i movimenti del torace, ascolto eventuali rumori uscire dalla bocca e sento il flusso di aria sulla mia guancia. Tale manovra va effettuata contando a voce alta fino a dieci, per dieci secondi.
Una persona normale a riposo compie circa 12-16 atti respiratori al minuto. Ciò significa che durante dieci secondi se l'infortunato respira dovrò osservare almeno uno o due atti. Viceversa mi troverò di fronte ad una situazione di arresto respiratorio. Nel caso in cui la persona incosciente respiri dovrò posizionarla lateralmente, possibilmente facendomi aiutare dai presenti.

Chiamerò quindi il 118 comunicando l'accaduto e che mi trovo di fronte ad una persona che respira ma è incosciente. Analizziamo quindi questo primo caso e le relative manovre di intervento.

 

Se dopo aver valutato l'infortunato mi accorgo di essere in presenza di una persona incosciente che respira devo provvedere ad eseguire la posizione laterale di sicurezza.
Tale posizione non è esente da rischi in caso di traumi soprattutto se eseguita da soli ma è indispensabile quando si trova l'infortunato in tale condizione. In caso di incoscienza infatti la muscolatura si rilassa e la lingua tende a cadere all'indietro andando ad ostruire le vie respiratorie. Ciò comporta quindi il rischio di arresto respiratorio e il conseguente arresto cardiaco. La posizione laterale di sicurezza può essere eseguita su entrambi i lati e in ogni caso trascorsi circa 15-20 minuti deve essere ripraticata sul lato opposto.

Come eseguire tale manovra?

Partiamo di nuovo dall'inizio. Arrivo sul luogo dell'incidente, mi accerto che non ci siano pericoli e chiamo la persona scuotendole dolcemente le spalle. La persona non mi risponde. A questo punto la posiziono sdraiata supina (sulla schiena) e valuto la respirazione con la tecnica gas (guardo-ascolto-sento). La persona respira.
Sono in presenza di una persona incosciente che respira e quindi devo praticare la posizione laterale di sicurezza. Se indossa degli occhiali li rimuovo, mi posiziono a lato del torace, allineo gli arti e porto il braccio dal mio lato verso l'alto fino ad ottenere tra braccio e avambraccio un angolo minore o uguale a 90°.

Il braccio controlaterale viene invece posizionato con la mano sulla guancia del paziente dal mio stesso lato
Piego la gamba controlaterale e appoggiando una mano sul ginocchio e una sulla spalla insieme ruoto la persona verso di me. A questo punto delicatamente iperestendo il capo come spiegato sopra e sistemo la mano sotto il mento.
Tutti i movimenti vanno eseguiti lentamente per evitare ulteriori lesioni. Se sono presenti altre persone mi posiziono alla testa e faccio eseguire la manovra ad un secondo di modo da ruotare l'infortunato "in asse" (vedi più avanti il relativo capitolo sulla mobilizzazione di un ferito). In questa posizione la persona può respirare, è stabile, l'eventuale vomito può defluire dalla bocca, e io posso nel frattempo, nel caso fossi da solo, allontanarmi e contattare il 118. La situazione va rivalutata ad intervalli regolari. Non dimentichiamo mai che quello che è vero ora potrebbe non esserlo più dopo pochi minuti.
Affrontiamo ora la situazione più drammatica.
La persona non risponde e non respira. E' in arresto cardiorespiratorio. A questo punto è necessario un piccolo approfondimento sull'argomento prima di affrontare le manovre da effettuare.
Quando il cuore si ferma il sangue non scorre più nei vasi e di conseguenza l'ossigeno non arriva più alle cellule. Ogni organo ha una sensibilità diversa alla carenza di ossigeno. In parole povere esistono tessuti che possono sopravvivere anche per diversi minuti o ore o riprendere le loro funzioni normali dopo un certo lasso di tempo. Le cellule nervose purtroppo sono le più sensibili alla carenza di ossigeno. Già dopo pochi minuti si manifestano i primi segni di sofferenza e nell'arco di circa 5 -10 minuti vanno incontro ad un danno irreversibile e alla morte.
Per questo motivo se troviamo una persona in arresto cardiaco e non facciamo niente può anche succedere che poi arrivi l'ambulanza e i soccorritori riescano a far ripartire il cuore ma con conseguenze permanenti sul nostro sistema nervoso. Detto questo appare chiaro e fondamentale il nostro ruolo sul luogo dell'incidente.
Se arriviamo per primi e ci troviamo in questa situazione solo noi possiamo tentare di garantire una certa ossigenazione delle cellule cerebrali in attesa del medico di urgenza.
Ricominciamo quindi da capo. Arrivo sul luogo dell'incidente. Una persona è a terra. La chiamo e non mi risponde. Valuto la respirazione e mi accorgo che non respira. A questo punto chiamo il 118 ed inizio le manovre rianimatorie.
Ora vi chiederete: ma come, non controllo se c'è un polso? La risposta è no.
Valutare il polso carotideo è una manovra che richiede esperienza. Rischieremmo di sentire un polso che non c'è o non sentirne uno presente. Un infortunato che non respira o è in arresto cardiaco o di li a poco il cuore si fermerà per mancanza di ossigeno.
Parto dal massaggio cardiaco. Eseguo 30 compressioni. Finite le compressioni passo alle ventilazioni. Ne eseguo due e quindi riprendo con il massaggio. Di seguito verrà spiegata la tecnica per entrambe le manovre.

TECNICA DI ESECUZIONE DEL MASSAGGIO CARDIACO
Partiamo con alcuni cenni di anatomia. Il cuore è posizionato al centro del torace tra lo sterno, la colonna vertebrale e i due polmoni. Ha la forma di un cono con un asse obliquo rivolto verso l'avanti, il basso e la sinistra. Per circa due terzi si trova quindi a sinistra della linea mediana. Appoggia sul diaframma, struttura muscolare che separa la cavità toracica da quella addominale. Il massaggio cardiaco ha la funzione di comprimere il cuore tra lo sterno e il dorso del paziente in modo da svuotarlo e permettere al sangue di circolare nei vasi. Per eseguirlo correttamente è necessario conoscere le seguenti manovre che andrebbero provate più volte.
La persona deve essere stesa in posizione supina su di una superficie rigida. Il massaggio praticato su di un materasso ha gran poca efficacia. Il torace deve essere libero da indumenti; se ho eseguito correttamente la sequenza lo avrò già scoperto per valutare la respirazione.
Mi inginocchio a lato del paziente. Per cercare il punto ove praticare le compressioni in passato si usavano varie tecniche.
Attualmente la manovra consigliata, perché immediata è la seguente: si posizionano le mani al centro del torace sulla parte centrale dello sterno all'altezza dei capezzoli.
E' importante non stare troppo in basso sulla punta perché in questo modo si possono procurare dei traumi addominali. E' altrettanto importante non stare troppo in alto perché altrimenti il massaggio è inefficace. Se le mani non sono in centro al torace ma di lato sulle coste si rischiano anche delle fratture.
Queste sono possibili anche quando le mani si trovano nella posizione corretta e non devono essere motivo di interruzione del massaggio stesso. Ricordiamo che ci troviamo di fronte ad una persona in arresto cardiorespiratorio e ciò ha la priorità su tutto. Solo la parte inferiore del palmo della mano deve appoggiare sullo sterno. Le dita dell'altra mano posta sopra la prima devono essere incrociate.
Se comprimiamo il torace con l'intera mano andiamo ad esercitare una pressione anche sulle coste con i rischi già spiegati sopra. Le braccia durante le compressioni devono essere tese e perpendicolari al torace del paziente. Se pieghiamo i gomiti non utilizziamo l'energia necessaria e perdiamo forza ed efficacia. Inoltre ci stancheremo precocemente.
Un massaggio ben eseguito è molto faticoso. Il torace deve essere abbassato di circa 4-5 cm. Le mani non devono mai perdere il contatto, le compressioni devono essere il più fluide possibili e non dei colpi. Ogni volta che comprimiamo dobbiamo successivamente rilasciare per permettere al cuore di riempirsi di sangue. La durata delle compressioni è uguale a quella delle distensioni. La frequenza che dobbiamo mantenere è di circa 100 compressioni al minuto.

TECNICA DI ESECUZIONE DELLE VENTILAZIONI
La ventilazione si può effettuare fondamentalmente con due tecniche: la respirazione bocca a bocca e quella bocca naso. Poiché la seconda si usa solitamente solo quando non sia possibile la prima, spiegherò solo questa.
Ci si inginocchia a lato del paziente vicino alla testa. La testa deve essere iperestesia come nella manovra di controllo del respiro. Per farlo devo appoggiare una mano sulla fronte e l'altra sotto il mento. Anche questo movimento va eseguito il più lentamente possibile.
Con il pollice e l'indice della mano che ho sulla fronte devo chiudere il naso mentre con l'altra mano cerco di tenere aperta la bocca del paziente o perlomeno di non esercitare una pressione sotto il mento. A questo punto devo insufflare l'aria. Prendo un respiro normale e soffio la mia aria nella bocca del paziente. Le mie labbra devono essere appoggiate intorno alla bocca della persona. Subito ruoto la testa verso il torace per vedere se si muove, ovvero se l'aria esce. Eseguo una seconda ventilazione.

La ventilazione è una manovra che può suscitare per ovvii motivi un rifiuto in chi la deve eseguire su di un estraneo. Vorrei subito precisare che il personale laico non è tenuto per legge ad eseguire tale tecnica se non se la sente. In tal caso può limitarsi al solo massaggio cardiaco da eseguire senza interruzioni mantenendo una frequenza di circa 100 compressioni al minuto. In ogni caso vorrei anche tranquillizzare chi legge perché è davvero raro contrarre una malattia ventilando una persona. Esistono comunque in commercio i cosiddetti "face shield" che sono dei piccoli teli plastificati con un filtro di carta al centro che si possono utilizzare per eseguire questa manovra.

LA RIANIMAZIONE A DUE SOCCORRITORI
Nel caso in cui non siamo soli ma è presente una seconda persona che è in grado di effettuare la rianimazione di base possiamo agire nel seguente modo. Noi assumiamo il ruolo di leader e valutiamo l'infortunato sempre seguendo i passaggi spiegati sopra. Nel frattempo il secondo chiama il 118 e riferisce quello che noi valutiamo (ad esempio persona incosciente che non respira). A questo punto noi iniziamo con le compressioni mentre l'altro si prepara alla testa per iniziare con le ventilazioni appena noi terminiamo il nostro ciclo (per questo motivo è sempre importante contare a voce alta) effettua due insufflazioni e io riprendo quindi a massaggiare. Quando sono stanco chiedo il cambio alla fine di un mio ciclo, il secondo effettua due ventilazioni e quindi si sposta verso il torace, rimanendo sullo stesso lato, per iniziare le compressioni.


Fino a quando continuare la rianimazione?

- Fino all'arrivo del personale sanitario: noi non possiamo decidere quando la rianimazione non ha più un senso, solo un medico può diagnosticare la morte e decidere l'interruzione delle manovre;
- Fino all'esaurimento delle forze: il massaggio cardiaco è molto faticoso e potremmo trovarci nella condizione di non riuscire più ad andare avanti;
- Fino alla comparsa di qualche segno di vita: se osservo un movimento o un colpo di tosse controllerò se c'è il respiro e in caso positivo interromperò la rianimazione, verificherò lo stato di coscienza e se assente metterò l'infortunato in posizione laterale di sicurezza.
In tutti gli altri casi dobbiamo proseguire!!
Affrontiamo ora le emorragie e lo stato di shock, entrambe se non adeguatamente trattate possono condurre all'incoscienza e all'arresto cardiorespiratorio.
I traumi possibili e lo stato di Shock 
Lo stato di shock consiste in una alterazione dell'apparato cardiocircolatorio.
Esistono diversi meccanismi attraverso cui si può realizzare ma per quanto riguarda gli incidenti stradali due sono gli eventi principali: la perdita di sangue e i gravi traumi vertebromidollari.
In entrambi i casi il risultato finale è una diminuzione della irrorazione sanguigna e quindi un insufficiente apporto di ossigeno alle cellule dei vari tessuti.
Inizialmente tali fenomeni sono reversibili ma se i fattori che hanno determinato lo shock non vengono prontamente corretti si assiste ad una progressione verso un danno irreversibile e quindi alla morte del paziente. E' di fondamentale importanza riconoscere questa grave situazione e provvedere alle manovre adeguate.
Analizziamo quindi il primo caso.
Se una persona subisce un trauma ed inizia a perdere sangue il sistema circolatorio si svuota. Il nostro organismo mette in atto una serie di meccanismi di difesa "restringendo i vasi" e dirottando il sangue principalmente verso gli organi più importanti. La cute diventa fredda e pallida, il polso rapido e quando il compenso non è più sufficiente la pressione scende. Le lesioni attraverso cui l'infortunato può perdere sangue sono rappresentate dalle emorragie esterne e quindi evidenti, da quelle interne, come spiegato dopo, e dalle fratture. In questi ultimi due casi la dinamica dell'incidente, il racconto di eventuali testimoni o le informazioni da parte del paziente ci possono aiutare ad orientarci in tale direzione.
Come sempre le lesioni devono essere sospettate fino a prova contraria. Come prima cosa quindi devo valutare se ci sono delle emorragie evidenti e cercare di tamponarle con le manovre spiegate dopo. La protezione termica è di fondamentale importanza nello stato di shock e in generale in tutti gli infortuni. La perdita di calore può aggravare ulteriormente la situazione.
Provvediamo quindi a procurarci una coperta (esistono quelle pieghevoli sottilissime da poter mettere nel bagagliaio, vedi dopo) o degli indumenti.
Esiste una cosiddetta posizione antishock che prevede il sollevamento degli arti inferiori per favorire la circolazione verso gli organi vitali ma può essere effettuata solo nel caso si abbia la certezza che non esistano lesioni in tale sede e alla colonna. In questa ultima evenienza, se il midollo spinale è stato lesionato si può instaurare uno stato di shock dovuto ad una perdita dei meccanismi di vasocostrizione spiegati sopra.
Ricapitolando quindi la gestione delle emorragie e la copertura termica sono i due nostri compiti principali. A tale proposito esiste in commercio un telino termico oro/argento di piccole dimensioni che possiamo conservare all'interno del nostro veicolo. Avvolgendo l'infortunato in questo telo con il lato oro verso l'esterno riduciamo la perdita di calore e il conseguente aggravamento dello stato di shock in attesa dei soccorsi. Il controllo delle funzioni vitali va effettuato contemporaneamente.

LE EMORRAGIE

Con il termine emorragia si intende la fuoriuscita di sangue dal sistema circolatorio.
In un incidente stradale molto spesso ci troveremo a dover affrontare una eventualità di questo tipo ed è quindi importante avere le idee chiare su cosa fare. Se il sanguinamento è visibile perché sono presenti delle ferite parleremo di emorragia esterna. E' altrettanto importante però tenere presente che spesso, e ciò vale in particolar modo nei traumi gravi, il sangue si può raccogliere in cavità all'interno dell'organismo e non dare segni diretti di sé. E' proprio in questi casi che è fondamentale capire la gravità della situazione ed agire prontamente.
In un incidente motociclistico così come in caso di impatti a forte velocità dovremmo sempre sospettare anche in assenza di segni evidenti un sanguinamento interno che verrà escluso con certezza solo in ambito ospedaliero.
Talvolta le emorragie interne si manifestano verso l'esterno.
In un trauma cranico ad esempio potremmo osservare la fuoriuscita di sangue dall'orecchio e dal naso, in un trauma toracico potrebbe esserci della schiuma mista a sangue che esce dalla bocca.

Quali sono i sintomi che ci devono allarmare, oltre alle circostanze, soprattutto quando il sangue non è visibile?

Vale la pena come prima cosa chiarire un paio di concetti di anatomia e fisiologia di base. Il sangue circola nel nostro organismo in un sistema di condotti grazie all'azione del cuore. I vasi sanguigni si distinguono in arterie che partono dal cuore stesso e si diramano fino a dare vasi microscopici che sono i capillari. Da qui originano vasi via via di maggiori dimensioni che confluiscono nelle vene e riportano il sangue al cuore. Quando per un qualche motivo un vaso si rompe, il sangue si riversa all'esterno del vaso stesso.
Se il sanguinamento prosegue il cuore inizia a pompare più velocemente per permettere al sangue che rimane di raggiungere i tessuti. La persona diventa pallida perché il sangue viene richiamato agli organi più importanti e se l'emorragia non si ferma, lentamente la pressione del sangue scende. E' quello che viene definito uno stato di shock e di cui abbiamo parlato prima.
Quando arriviamo sul luogo di un incidente, accertata la sicurezza della scena e lo stato di coscienza dobbiamo osservare l'eventuale presenza di ferite e valutare la loro gravità. Le emorragie si possono distinguere in base ai vasi conivolti.
Le emorragie arteriose interessano le arterie che sono i vasi che partono dal cuore. Il sangue in questo caso uscirà a fiotti o zampilli sincroni con il battito cardiaco. Se non interveniamo prontamente la persona è a rischio di vita, le emorragie arteriose non si arrestano da sole.
Nel caso in cui siano invece interessate delle vene (caso più frequente perché le vene scorrono più in superficie rispetto alle arterie) il sangue uscirà in modo continuo. Il colore non è un modo per discriminare i due tipi di sanguinamenti.
Le emorragie capillari per concludere sono quelle meno gravi perché interessano piccoli vasi e spesso si arrestano spontaneamente.

Come ci dobbiamo quindi comportare di fronte ad una emorragia?

Regola numero uno è la nostra sicurezza, indossiamo dei guanti che dovremmo sempre avere in auto per evitare il contatto con il sangue e i liquidi organici. La prima manovra da usare è la tecnica della compressione diretta.

Applichiamo una garza possibilmente sterile sulla ferita, poi sovrapponiamo un rotolo di garza ed eseguiamo una fasciatura compressiva (in caso va bene anche un indumento). Tale fasciatura ha lo scopo di esercitare una pressione sulla ferita stessa e cercare di fermare l'emorragia. Se la lesione è ad un arto possiamo sollevarlo per diminuire il sanguinamento e usare del ghiaccio (mai direttamente a contatto con la cute).
In tal modo si riescono a tamponare circa il 90% delle emorragie.
Nel caso in cui e solo nel caso in cui queste manovre non dovessero arrestare il sanguinamento si può ricorrere a due tecniche estreme che non sono scevre da rischi importanti.
Si tratta delle tecniche dei punti di compressione e del laccio emostatico arterioso.
In alcune parti del corpo le arterie scorrono vicino a superfici ossee e una pressione esercitata in questi punti può interromperne il flusso verso la periferia. In alternativa possiamo utilizzare un laccio emostatico. Questo si può ottenere usando un pezzo di stoffa della larghezza di almeno 5 cm, fili e oggetti taglienti sono assolutamente da evitare. Tale laccio va stretto fino ad arrestare il sanguinamento. E' fondamentale segnare l'ora di applicazione sulla fronte dell'infortunato.
Ovviamente queste due tecniche comportano anche un arresto del circolo a valle rispetto al punto di applicazione e quindi una mancanza di ossigenazione in queste zone. Per tali motivi il laccio va applicato solo in caso di reale necessità ovvero solo alle radici degli arti, solo quando nonostante bendaggio compressivo, ghiaccio e sollevamento dell'arto l'emorragia continuasse e in caso di amputazione.
A tale proposito vale la pena spiegare che se siamo in presenza di una parte amputata questa va inserita in un sacchetto che deve essere chiuso e a sua volta inserito in un secondo sacchetto che contenga del ghiaccio. Questo non deve mai venire a contatto diretto con la parte. Se ci troviamo di fronte a corpi estranei o a segmenti ossei sporgenti non dobbiamo assolutamente toccare niente e ci limitiamo ad effettuare se necessario una compressione intorno alle lesioni o una compressione a distanza. Una volta arrestato il sanguinamento ci occuperemo delle manovre "antishock" che andiamo ad analizzare più avanti.

IL TRAUMA CRANICO

Il trauma cranico è un evento frequente negli incidenti stradali. Si stima che circa la metà dei traumi cranici riconosca la propria causa in tali evenienze, con un picco di incidenza in età giovanile. Spesso in un politraumatizzato è presente un trauma cranico.
A seconda della gravità si possono dividere in tre categorie: in quelli cosiddetti leggeri non vi è perdita di coscienza neppure temporanea, in quelli di media gravità c'è una perdita di coscienza o durante o subito dopo l'incidente mentre in quelli gravi la perdita di coscienza è persistente con uno stato di coma.
Dal punto di vista dei meccanismi il trauma cranico si può verificare per una brusca decelerazione (come negli impatti frontali) o per una improvvisa accelerazione (ad esempio se si è urtati da un'auto in corsa). Le lesioni coinvolgono i tessuti esterni con ferite, le ossa con fratture e il tessuto cerebrale con contusioni e lacerazioni.

Come riconoscere quindi se siamo in presenza di un trauma cranico e di quale gravità?

Innanzitutto valgono sempre le regole esposte sopra. Mi assicuro quindi che non ci siano pericoli mi avvicino al paziente e valuto lo stato di coscienza. Una alterazione dello stato di coscienza, sonnolenza, una perdita anche temporanea della coscienza, una amnesia, uno stato di irrequietezza mi devono fare sempre sospettare un trauma cranico.
Se la persona mi risponde potrebbe essere confusa, parlare in modo inappropriato o emettere solo dei versi. Possono essere presenti vomito non preceduto da nausea, capogiri, dolore. Potrei osservare anche delle convulsioni. La fuoriuscita di sangue dall'orecchio o dal naso potrebbe anche nascondere un trauma cranico con un sanguinamento interno.
Anche una differenza del diametro delle pupille mi può orientare in tale direzione, ma qui entriamo già nel campo "medico" e mi atterrei ai segni descritti sopra. Una cosa importante da tenere ben presente è che di fronte ad un sospetto trauma cranico devo sempre trattare il paziente come se avesse un associato trauma vertebrale cervicale. Il traumatizzato cranico va continuamente osservato e valutato perché spesso le sue condizioni cambiano repentinamente. Se il paziente è cosciente mi limiterò a tranquillizzarlo, mi posizionerò alla testa per evitare pericolosi movimenti del collo, lo coprirò con una coperta ed attenderò l'arrivo dei soccorritori. In caso contrario dovrò procedere con la sequenza descritta nel capitolo del basic life support (valutazione della respirazione e se assente rianimazione).

IL TRAUMA VERTEBRALE

La colonna vertebrale rappresenta l'asse di sostegno del corpo. E' costituita da 33-34 vertebre sovrapposte (suddivise in 7 cervicali, 12 toraciche, 5 lombari, 5 sacrali e 4-5 coccigee) che formano un canale al cui interno si trova il midollo spinale. Le vertebre sono spesso interessate da traumi negli incidenti stradali.
Le cause principali sono il mancato utilizzo della cintura di sicurezza e il colpo di frusta conseguente ad una brusca decelerazione. Come regola fondamentale è indispensabile considerare tutti i pazienti che abbiano subito un incidente come potenziali traumatizzati della colonna finchè non venga provato il contrario. Per questi motivi tale struttura va sempre protetta e il paziente deve essere mobilizzato se necessario con adeguati presidi finchè non si escluda una lesione a tale livello.
Infatti come abbiamo detto sopra e come ripetiamo ancora una persona cosciente non deve essere assolutamente spostata salvo la presenza di pericoli di vita imminenti. Una persona che abbia subito un trauma cranico è ad elevato rischio di presentare anche un trauma cervicale e deve essere immobilizzata precocemente utilizzando un collare rigido. Lo spostamento può avvenire tramite la tavola spinale presente sui mezzi di soccorso.
Le lesioni della colonna possono interessare solo la struttura ossea ma se viene danneggiato anche il midollo spinale si avranno dei conseguenti danni neurologici. La presenza di dolore, disturbi della sensibilità, paresi o paralisi flaccida degli arti sono fortemente sospette per una lesione di questo tipo. Già la dinamica dell'incidente (forti accelerazioni o decelerazioni) ci devono allarmare. Di fronte alla presenza di dolore ci limitiamo quindi a tranquillizzare il paziente, non muoverlo, immobilizzare precocemente il capo magari posizionandoci dietro la testa e trattenendolo con le mani. La copertura termica anche in questo caso è fondamentale. In caso di trauma vertebromidollare dovremo anche affrontare uno stato di shock dovuto alla dilatazione dei vasi (come spiegato nel precedente capitolo) con conseguente perdita di calore e peggioramento del danno.

IL TRAUMA TORACICO

Anche i traumi del torace rivestono un ruolo importante negli incidenti stradali. La gabbia toracica è formata dallo sterno anteriormente, dalle coste e dalla colonna dorsale posteriormente. Al suo interno si trovano il cuore, i due polmoni e i grandi vasi. Tutte queste strutture sono suscettibili di subire un danno e come si può facilmente immaginare spesso le lesioni sono molto gravi o mortali. I due polmoni sono contenuti all'interno di due "sacchi" rappresentati dalle pleure, in cui vi è una pressione negativa.

Quali sono i segni più caratteristici di un trauma toracico?

Eventuali ematomi possono essere già indicativi. L'infortunato sarà dispnoico, ovvero farà fatica a respirare, potrò osservare la cianosi che è il colorito bluastro della cute e delle mucose dovuto a rallentamento del circolo periferico. Potrà emettere una bava schiumosa mista a sangue con il respiro, lamenterà dolore, nei casi più gravi andrà incontro ad un progressivo stato di shock. C'è una evenienza gravissima da ricordare. Si tratta dello pneumotorace.
Come abbiamo accennato prima i polmoni solo all'interno di due sacchi ermetici. Se una ferita passa la parete toracica e lede una di queste membrane, l'aria comincia ad entrare nella ferita stessa e il polmone non potendosi più espandere per l'aumento di pressione collasserà. Se non si interviene prontamente l'infortunato andrà incontro alla morte. I segni che ci indicano una situazione di questo genere oltre alla dispnea sono rappresentati dalla presenza di una ferita toracica "sbuffante" e da movimenti anomali del torace stesso. In tale evenienza esiste una medicazione a valvola costituita da una garza ricoperta da materiale impermeabile e aperta su un angolo da applicare per fare in modo che l'aria non possa entrare. In tutte le evenienze comunque è importante posizionare la persona semiseduta, ovvero con le gambe distese e il torace sollevato per farla respirare meglio. Allo stesso scopo possiamo nel caso in cui non sussistano altre lesioni metterla sul lato ferito. Il polmone verso l'alto potrà ventilare meglio. Ribadiamo ancora una volta l'importanza della protezione termica.

IL TRAUMA ADDOMINALE

Accanto ai traumi cranici, vertebrali e toracici troviamo i traumi addominali. All'interno dell'addome si trovano organi importanti e corrono grossi vasi. Le lesioni possono essere aperte e quindi osserviamo delle ferite ma anche chiuse da contusione, scoppio o stiramento con lacerazione di organi interni per improvvise accelerazioni o decelerazioni. L'infortunato se cosciente lamenterà dolore, l'addome potrà apparire duro al tatto, potrò osservare degli ematomi.
E' possibile la comparsa di vomito con sangue e se le lesioni sono importanti si presenterà il quadro dello shock. Le misure da adottare nel primo soccorso sono le seguenti. L'infortunato non dovrà essere mobilizzato se cosciente, sarà possibile fargli adottare una posizione a gambe flesse che riduce la tensione addominale ed il dolore ma solo nel caso in cui non vi siano lesioni agli arti inferiori, utilizzando qualcosa di morbido come spessore da posizionare sotto le ginocchia.
Le emorragie esterne se presenti andranno tamponate, la persona dovrà essere coperta in attesa dell'arrivo dei soccorsi. In caso di eviscerazione, lesione della parete addominale con fuoriuscita di organi, facilmente parte dell'intestino, non si deve tentare di spingerli all'interno ma ci si limita a coprire se possibile con materiale sterile. In generale, ma in particolare modo in caso di lesioni addominali non si deve mai dare niente da bere all'infortunato anche se lamenta sete!
Spesso nei traumi addominali vengono interessate anche le ossa del bacino. Ciò comporta sempre una emorragia interna importante (è possibile la comparsa di ematuria, ovvero sangue nelle urine) e un conseguente stato di shock. Valgono le stesse regole spiegate sopra e va prestata molta attenzione alle condizioni del paziente, condizioni che potrebbero aggravarsi prima dell'arrivo dei soccorsi.

LE FRATTURE

Nel nostro corpo sono presenti più di 200 ossa. Queste hanno la funzione di sostegno ma servono anche a proteggere gli organi vitali (basti pensare alla scatola cranica o alla gabbia toracica). Le ossa si rapportano tra loro attraverso le articolazioni e i legamenti e presentano l'inserzione dei tendini che le collegano alle strutture muscolari. Quando per un qualsiasi motivo venga superata la capacità di resistenza dell'osso si genera una frattura.
Esistono vari tipi di fratture in base ai meccanismi e all'aspetto. Ai fini del primo soccorso sulla strada ci interessa sapere che le fratture in questo caso sono di origine traumatica e possono essere chiuse e quindi non visibili direttamente oppure esposte quando l'osso si rompe e il moncone fuoriesce dalla cute. In questo caso vi è la certezza della presenza della frattura e un aggiuntivo rischio di infezione in tale sede.

Quali sono i sintomi e i segni che ci devono fare sospettare una frattura?

L'impossibilità al movimento, il dolore, la presenza di ematomi, la tumefazione e un aspetto deformato sono fortemente sospetti per una frattura. Anche la dinamica dell'incidente ci può orientare verso una lesione di questo tipo.
Ad ogni modo in tutti i casi vi è una perdita di sangue che può essere notevole ed un rischio di shock per la conseguente emorragia interna. Di fronte ad un incidente stradale dobbiamo sempre sospettare la presenza di una frattura e quindi come spiegato all'inizio del manuale se la persona è cosciente andrà evitato qualsiasi movimento salvo la presenza di pericoli imminenti.
Chiederemo all'infortunato dove sente dolore e ciò ci orienterà sulla localizzazione di eventuali traumi. Considerando che ci troviamo sulla strada e abbiamo chiamato il 118 tutte le manovre di immobilizzazione saranno demandate ai soccorritori avanzati. Noi ci limiteremo quindi a tranquillizzare il paziente e ad osservare che non si muova, lo copriremo con una coperta o degli indumenti dopo aver eventualmente tagliati gli abiti per vedere se ci sono lesioni evidenti.
Non scordiamo che se sotto ai pantaloni è presente una frattura esposta questa sanguinerà con il rischio di uno stato di shock. In questo caso provvederò a coprire con garze sterili la lesione e ad effettuare una medicazione compressiva intorno al moncone, trattandolo come un corpo estraneo. (eventuale compressione a distanza).
E' assolutamente da evitare il tentativo di riallineare l'osso, di far rientrare il moncone sporgente. Come abbiamo accennato all'inizio del capitolo le ossa si rapportano tra loro tramite le articolazioni. Se per un trauma questo rapporto si altera ne deriverà una lussazione o una distorsione. Nel primo caso la perdita dei rapporti articolari sarà completa. Ciò capita frequentemente alla spalla. La struttura apparirà deformata e anomala. Nel caso di distorsione la lesione sarà incompleta. In entrambi i casi come per le fratture eviterò qualsiasi movimento, coprirò l'infortunato, se dovessi avere a disposizione del ghiaccio lo applicherò sulla zona interessata con una garza di protezione ed attenderò i soccorsi.

La mobilizzazione dell'infortunato è forse una delle manovre più complicate insieme alla rimozione del casco. Richiede esperienza e affiatamento tra le persone che la eseguono. Quando siamo costretti a spostare un ferito per la presenza di pericoli, perché è incosciente o perché dobbiamo valutare il respiro ci troviamo difficoltà.
Come ho ripetuto più volte la persona non va mai spostata salvo stato di necessità quando è cosciente. Partendo dal presupposto che non sappiamo quali lesioni sono presenti è chiaro che i movimenti che facciamo potrebbero creare ulteriori danni. E' altrettanto chiaro che se non è necessario dobbiamo aspettare l'arrivo dei soccorritori professionisti, dotati di numerosi presidi che facilitano notevolmente il compito.
Detto questo se è necessario girare l'infortunato perché ad esempio si trova in posizione prona ed è incosciente mi atterrò alla seguente manovra. Innanzitutto per muovere una persona correttamente è necessario essere almeno in tre. Lo spostamento deve avvenire in asse. Ciò significa che dovrò immaginare una linea che parte dalla testa e arriva ai piedi. Tale linea durante i movimenti non deve subire alcun tipo di curva, bensì rimanere una retta.

Per questo motivo io mi posizionerò alla testa afferrandola con le mani (come in figura). Le altre due persone si metteranno di lato con le braccia incrociate tra loro nella posizione della foto. Ciò permette una rotazione "in asse". Quando io sarò pronto avviserò che conterò fino a tre e al tre lentamente i miei due "aiutanti" inizieranno a tirare l'infortunato verso di sé seguendo i miei movimenti. La testa e il collo sono le zone più delicate e ogni spostamento dovrà prestare la massima attenzione a queste parti.

La rimozione del casco

La rimozione del casco è una manovra complessa che richiede esperienza. Di seguito spiegherò la tecnica. Preciso come prima cosa che anche in questo caso mi dovrò attenere alla regola fondamentale: se la persona è cosciente non deve essere mobilizzata e quindi anche il casco non andrà rimosso.
Mi limiterò a posizionarmi alla testa dell'infortunato tranquillizzandolo e facendo in modo che non faccia lui stesso dei movimenti e chiamerò i soccorsi. Il casco deve essere rimosso solo nel caso in cui la persona sia incosciente per permettere una valutazione della respirazione.
La manovra richiede la presenza di due persone per essere attuata correttamente e va effettuata con l'infortunato in posizione supina.

Il primo soccorritore si posiziona in ginocchio dietro la testa ed afferra con le mani la base del casco e il mento. Quando è stabile lo comunica al secondo che solo a questo punto apre la visiera, toglie se presenti gli occhiali e sfila la cinghia di chiusura del casco stesso. Ora infila i pollici sotto gli zigomi e con le altre dita afferra il collo e la testa. Quando è sicuro di avere una presa stabile avvisa il primo che lascia la testa, allarga il più possibile il casco e lo sfila dapprima sopra il naso per liberarlo e poi verso di sé. Il secondo soccorritore continua a tenere saldamente il capo in modo che non faccia nessun movimento durante l'estrazione. Una volto rimosso il casco il primo riprende in mano la testa appoggiando le dita sulle orecchie e la mandibola. E' possibile utilizzare uno spessore per tenere la testa in posizione. Quindi si procede con la valutazione della respirazione come spiegato sopra.